La vittoria del Top Jazz 2017 per il miglior disco dell’anno (con Sideralis) ha riportato sotto i meritati riflettori il sassofonista Roberto Ottaviano (Bari, 1957). Passato per esperienze formative altamente qualificanti (studi con Giacomo Manzoni, Luigi Nono, Evan Parker, Jimmy Giuffre e George Russell tra gli altri), ha mosso i primi passi in contesti altrettanto stimolanti, come l’orchestra di Andrea Centazzo. Il suo primo album da leader (Aspects, 1983) rende bene l’idea della sua collocazione nella scena italiana: alla sua realizzazione parteciparono Giancarlo Schiaffini, Paolo Fresu e Carlo Actis Dato. Impressionante è anche l’elenco delle sue collaborazioni internazionali: Dizzy Gillespie, Art Farmer, Mal Waldron, Albert Mangelsdorff, Chet Baker, Keith Tippett, Steve Swallow, Kenny Wheeler, Henri Texier, Paul Bley, Aldo Romano, Tony Oxley, Misha Mengelberg, Han Bennink, Trilok Gurtu…
Nella scaletta di Eternal Love (2018), Ottaviano ha fatto confluire musiche di Don Cherry, Charlie Haden, John Coltrane e Dewey Redman, oltre a suoi pezzi originali e un traditional africano. Da questo mosaico di tasselli ben accostati emerge una chiara visione culturale, che vede nella musica un modo di evocare, come pregando, la bellezza della madre terra; di esprimere e celebrare, in questi tempi difficili, la speranza e la voglia di riscatto del genere umano. I musicisti di cui si è circondato, abili nel muoversi lontano da qualunque cliché, permettono a Ottaviano di ricongiungere le traiettorie della libera improvvisazione e le più profonde radici della tradizione jazzistica.