Il pianista sudafricano Nduduzo Makhathini, classe 1982, comincia a farsi sentire su disco dal 2014: l’esordio è Mother Tongue su etichetta Gundu. È l’inizio di una fitta e regolare serie di pubblicazioni, quasi tutte per la stessa label, sino a che nel 2020 Nduduzo ci consegna Modes of Communication: Letters from the Underworlds, che segna la sua entrata nella scuderia Blue Note e il raggiungimento della notorietà internazionale. Seguiranno, ancora per la storica casa discografica, In the Spirit of Ntu (2022) e uNomkhubulwane (2024).
Da qualunque parte lo si inizi ad ascoltare è subito chiaro che lo stile pianistico di Nduduzo porta in primo piano un tratto fondamentale del pianoforte, la sua natura di strumento percussivo, un aspetto che nel suo utilizzo nella musica europea è stato ampiamente addomesticato. C’è poi un modo di procedere iterativo che, abbinato alle scelte di metronomo, crea un effetto predicatorio, affabulatorio, incantatore: insomma, quel tipo di fraseggio per il quale gli è stato conferito il titolo di “sciamano del jazz”.
Sacralità, totalità, ancestralità: la musica di Nduduzo è una discesa nelle regioni più arcaiche della spiritualità, quelle in cui l’uomo è ancora tutt’uno con la natura prima dell’emergere dell’individualismo. Se anche non credete negli spiriti che Nduduzo cerca di evocare, potreste credere nella magia che sicuramente la sua musica, arcana e visionaria, produce.